HomeIndice generale >   Attività estrattiva e salvaguardiaSull'attività estrattiva in generale
 
Lo sfruttamento della risorsa si data all’antichità romana quando la trachite trovò intenso uso per la costruzione di ponti, edifici pubblici e privati, per la pavimentazione di strade e per la realizzazione di stele, are, sarcofagi e monumenti funerari. La pietra dei Colli si distingue, a seconda del maggiore o minore contenuto di silice, in riolite e trachite propriamente detta. La riolite, meno adatta al taglio, è stata usata in forma di pietrame e pietrisco; le rocce sedimentarie marine, miste alla trachite (biancone e scaglia), vennero usate nel passato per la fabbricazione della calce. Ne abbiamo testimonianza dallo stesso Palladio il quale sosteneva come particolarmente idonee per le opere destinate all’aperto e a contatto con l’acqua, la calce ottenuta dalle pietre scagliose che si cavano ne i monti di Padoa
L’attività estrattiva intaccò ovunque il paesaggio collinare, aprendo decine e decine di cave: da Montebuso a Monselice, dal Cero al Monterosso, dalla Vallarega a Battaglia. Le ferite più devastanti, comunque, risalgono all’ultimo secolo quando l’intensificazione, l’uso di tecniche moderne e delle mine, portò in breve tempo a porre il problema della salvezza dei Colli. Era stato Adolfo Callegari, direttore del Museo Archeologico di Este, ad esprimere in una memoria del 1936 il timore dei danni derivanti dall’eccessivo sfruttamento dell’attività estrattiva. Ma sarà nel secondo dopoguerra che la produzione raggiungerà i 10 milioni di tonnellate: un vero cataclisma! Alimentato in quegli anni dalla febbre del cemento che aveva preso l’Italia, dall’avvio dei lavori per la rete autostradale, da altri eventi come la rotta del Po’. E se nel 1952 un operaio impiegava due ore per estrarre una tonnellata di materiale, nel 1971 bastavano dieci minuti. L’opinione pubblica, sollecitata dai vibranti interventi sul “Corriere della sera” dello scrittore e giornalista Paolo Monelli e dall’attività dei Comitati di difesa, si mobilita, portando alla promulgazione della Legge n° 1097 del 29 novembre 1971 (proposta dagli On.li Romanato e Fracanzani) con la quale si vietava l’apertura nei Colli di nuove cave, e disponeva la chiusura di tutte le cave di materiale vile (da riporto, pietrisco, ecc.). Fu, inoltre, estesa l’apposizione del vincolo paesistico a norma delle Leggi del 1939 n. 1497 e del 1940 n. 1357. Oggi l’escavazione è ormai un fatto che appartiene alla storia dei Colli che ha lasciato anch’essa i suoi reperti di archeologia industriale come l’ex fornace Marin a Rovolon o il sito di cava Fontanafredda.