Che Arquà divenga nel corso del ‘500 una sorta di San Giacomo di Compostella letterario e laico lo sostenne Arturo Graf (vedi: Graf A., Attraverso il Cinquecento, Torino 1881, p. 89) in un suo noto lavoro sul Cinquecento. Ma la fama universale del villaggio e il devoto pellegrinaggio era stato propiziato già dal Boccaccio. Questi infatti, nel rispondere commosso alla lettera del genero del Petrarca che gli annunciava la morte del grande poeta, tesse gli elogi del paese che avrà in sorte la notorietà nel mondo legata al ricordo del sommo poeta. (Epistola a Francesco da Brossano del 3 novembre 1374, in Boccaccio G., Epistole, a cura di P. G. Ricci, Milano-Napoli 1965, pp. 1240-1257). 
 
Balduino Armando, Periferie del petrarchismo¸ a cura di Beatrice Bartolomeo e Attilio Motta, presentazione di Manlio Pastore Stocchi, Roma-Padova, Antenore, 2008 (Ente Nazionale F. Petrarca, Studi sul Petrarca, 36), con particolare riferimento al saggio:  Luoghi della memoria: i fans di Petrarca ad Arquà
Il volume raccoglie alcuni studi, tra la vastissima attività di ricerca di Armando Balduino, che presentando le origini e le radici padovane e venete del petrarchismo, si occupa anche di presentare le vicende del rapporto tra i cultori del Petrarca e il luogo in cui il peta trascorse gli ultimi anni della sua esistenza, morendovi il 18 luglio del 1374. I primi nomi che compaiono in questa vicenda sono, ancora una volta, quelli di letterati padovani e veneti: il già ricordato Giovanni Dondi dell'Orologio, autore di un sonetto scritto in occasione di una visita al sepolcro del cantore di Laura; come pure il padovano Marco Businello, autore a sua volta di testi in lode dell ' «arca di marmo” che racchiude le venerabili spoglie di Petrarca. E di «venerazione per i luoghi e le materiali reliquie” petrarchesche, con riferimento anche agli autografi dell ' autore, parla in effetti Balduino, sottolineando ancora una volta come questo culto del poeta contribuisca a spiegare le ragioni della precoce affermazione in area veneta del petrarchismo, con autori più o meno importanti come il veneziano Marco Piacentini, fanatico imitatore dei Rerum vulgarium fragmenta, i padovani Domizio Brocardo e Niccolò Lelio Cosmico, o il riminese Giovanni Aurelio Augurelli, attivo prin- cipalmente tra Padova, Venezia e Treviso, amico e prezioso collaboratore del Bembo. Queste, però, sono solo le premesse di un discorso che si concentra poi sull' analisi e la valutazione, secondo una prospettiva più socio-culturale che letteraria, dei due più antichi «Album dei visitaton di Arquà”, che comprendono le testimonianze scritte lasciate dai visitatori della casa di Petrarca dal 1788 al 1833.  
Che l'ultima dimora del poeta fosse ormai divenuta un luogo simbolico degno di particolare devozione per i letterati italiani dimostrano due celebri sonetti di Vittorio Alfieri scritti in occasione della visita del 1783; come pure il celebre e fondamentale episodio dell'Ortis di Ugo Foscolo, che proprio durante il "pellegrinaggio' ad Arquà fa in modo che Jacopo e Teresa  riconoscano definitivamente di essere legati da un profondo sentimento d' amore. Ma i libri dei visitatori gettano luce piuttosto su un fenomeno di costume di altra natura, non meramente letterario. A lasciare traccia sulle carte di questi manoscritti sono per lo più donne e uomini del tutto comuni, che affidano però spesso a testi in versi il ricordo della loro visita. Testi preparati per lo più in prece- denza e che, per quanto privi di qualsiasi valore letterario, dimostrano una «complessiva tenuta” sul piano tecnico-formale. Di qui un'interessante osservazione di Balduino circa il modello di istruzione dominante nelle scuole del Settecento e di buona parte dell'Ottocento, in cui gli esercizi di "bello scrivere", anche in versi, consentivano a qualsiasi liceale al termine degli studi di comporre sonetti, ottave, odi, terzine sostanzialmente corrette dal punto di vista metrico. E forse proprio il dominante ricorso alla versificazione da parte di moltissimi visitatori comuni e ignoti spiega, come osserva Balduino, la «ritrosia di poeti ben più dotati, e magari già di chiara fama», che non si degnano di mischiare i loro versi a quelli della massa di dilettanti. Ancora, dall'analisi dei due Album si rileva come per il. «pubblico medio» .dei “pellegrini" di Arquà spesso la visita sia un' «occasione atta a dar voce agli sfoghi personali, o appaia addirittura programmata per tutt'altre motivazioni». Ecco allora che il messaggio affidato alle carte del libro dei visitatori esprime di volta in volta un solenne giuramento di fedeltà all' amata o il ricordo devoto in morte della moglie, o ancora i lamenti degli amanti traditi. Ma non mancano testi di tutt'altro tenore, per nulla sentimentali, come quelli di un libraio padovano che ringrazia Petrarca perché proprio alla vendita delle sue opere egli deve la sua fortuna economica. Insomma, come conclude Balduino, anche l'analisi di documenti di questo genere consente di fare storia della cultura, di comprendere meglio, osservandola dal basso, una civiltà, magari attraverso lo studio di un caso così interessante di «divismo letterario, eccezionale tanto per durata quanto per intensità».  
 
Sulla casa del Petrarca, che diverrà la meta di questo viaggio, riassumiamo qui alcune informazioni tratte da: 
Casa (La) di Francesco Petrarca ad Arquà, a cura di M. Magliani, Milano 2003 (Guide Skira).  
La prima testimonianza del “devoto” pellegrinaggio alla casa di Arquà si deve al medico padovano Giovanni Dondi Dall’Orologio (1318-1389) — uno dei più cari amici del poeta — il quale compose il sonetto In occasione della visita al sepolcro di Francesco Petrarca ad Arquà.  
Al 1433 risale il ricordo della tomba del poeta eretta nel sagrato della pieve dell’umanista e generale dei camaldolesi Ambrogio Traversari. Nel 1474 abbiamo la menzione del giovane Marin Sanudo nel suo Itinerario per la Terraferma veneziana. Nel ‘500 una prima descrizione della casa troviamo nell’opera manoscritta di Giovanni Battista Carogna — Racconto della guerra fatta da Carlo V contro i ribelli della Germania — che si recò tre volte in visita ad Arquà favorevolmente impressionato dalla natura rigogliosa e dall’ambiente bucolico. Una descrizione ancor più precisa della casa troviamo nel dialogo Il petrarchista di Ercole Giovannini, poeta bernesco morto nel 1591 la cui opera fu pubblicata solo nel 1623 dall’editore veneziano Barezzo Barezzi. Arquà è anche lo scenario del Petrarcha spirituale del francescano Girolamo Malipiero che rivisitò il testo petrarchesco in chiave spirituale e teologica. 
Può considerarsi la prima guida della casa l’opera di Giacomo Filippo Tomasini Petrarcha redivivus, pubblicata a Padova nel 1635, che ci dà una ricostruzione della vita del poeta insieme ad una veduta della pianta della casa, così com’era stata trasformata dagli interventi cinquecenteschi del Valdezocco e dai Gabrielli nei primi anni del ‘600. 
Uscì nel 1797 l’opera di Giovanni Battista Zaborra — Petrarca in Arquà — con incisioni di Francesco Bellucco e nel 1831 Una visita in Arquà, una guida illustrata di Pietro Chevalier. Nel 1876 la casa divenne proprietà del Comune di Padova e nel 1878 vi fu solennemente inaugurato il museo petrarchesco curato da Stefano Piombin, abate di Monselice e devoto del Petrarca. Dall’inizio del Novecento la custodia è affidata alla stessa famiglia Trentin. Da segnalare ancora come nel 1990 la casa fu sede di una pregevole mostra bibliografica sulla fortuna editoriale delle opere del Petrarca, realizzata usando gli esemplari della Raccolta Petrarchesca della Biblioteca Civica di Padova, una delle più ricche collezioni delle opere del poeta al mondo. 
 
Ritornando sui rapporti tra Giovanni Dondi e il Petrarca, essi furono sempre contrassegnati da reciproca affezione, nonostante una garbata polemica tra di loro circa alcuni consigli dietetici  che il medico Dondi intendeva impartire all’amico e paziente. 
Di tale polemica ci resta testimonianza in due lettere Senili del Petarca (XII, 1-2), che riprendono, un po’ scherzosamente, le sue antiche prevenzioni contro i dottori. La questione è ripresa ampiamente in: 
Wilkins E.H., Vita del Petrarca, a cura di R. Cesarani, Milano, Feltrinelli, 1964, p. 291 e sgg; 
Dotti U., Vita di Petrarca, Roma-Bari, Laterza 1987, p. 412; 
Petrarca F., Epistole autografe, Introduzione, trascrizione e riproduzione a cura di A. Petrucci, Padova, Antenore, 1968. 
Le lettere del Dondi si leggono in : 
Bellemo V., Jacopo e Giovanni ‘de Dondi dall’Orologio. Note critiche con le rime edite ed inedite di Giovanni Dondi ed altre aggiunte, Chioggia, 1984, p. 293-310. 
Sul sepolcro di Arquà il Dondi dettò poi il commosso sonetto Nel summo cielo con eterna vita, dal quale si è soliti far risalire la glorificazione del poeta toscano post mortem e la prima indicazione in lui di un preciso modello culturale. Sull’argomento cfr.: 
Medin A., Il culto del Petrarca nel Veneto fino alla dittatura del Bembo, “Nuovo Archivio Veneto”, 8/2 (1904), p. 421-465. 
 
Riepiloghiamo le opere a cui si è fatto riferimento: 
Malipiero G., Il Petrarca spirituale, Venezia 1536. 
Giovannini E., Il Petrarchista, in Li due Petrarchisti, Venezia 1623 (con Il Petrarchista di N. Franco). 
Tomasini G. F., Petrarcha redivivus, Padova 1635 (anche Venezia 1601). 
Zabborra G. B., Petrarca in Arquà. Dissertazione storico-scientifica, Padova, nella Stamperia del Seminario, 1797, coi ritratti del Petrarca e di Laura e con 6 tavole rappresentanti il monte, la chiesa d’Arquà, la casa del Petrarca (opera di Francesco Bellucco). 
Gloria A., Documenti inediti intorno al Petrarca con alcuni cenni della casa di lui in Arquà e della reggia dei Da Carrara in Padova, Padova, Prem. tip. alla Minerva, 1878.