HomeIndice generale >  Una cucina euganeaContengono molti riferimenti alla gastronomica locale alcune opere letterarie
 
Partendo da quell’Alvise Cornaro che dall’alto della sua condizione di privilegio e a conveniente distanza dal povero e dal mendico detta i suoi consigli per una vita sobria: 
Cornaro A., Scritti sulla vita sobria. Elogio e Lettere. Prima edizione critica a cura di M. Milani, Venezia Corbo e Fiore 1983. L’opera del veneziano Cornaro che ebbe casa a Padova che divenne presto centro di una piccola “corte” di artisti uscì nel 1558 e sosteneva le ragioni di una vita semplice, ordinata e sobria. Egli trascorreva anche alcuni mesi dell’anno nei Colli Euganei. Oltre ai consigli per una vita sana ed equilibrata lontana dalla crapula e dal disordine e descrive il suo mangiare che consiste in pane, la panatella, o brodetto con l’uovo, o altre tali buone minestrine; di carne mangio carne di vitello, capretto e di castrato; mangio polli d’ogni sorte, mangio pernici ed uccelli, come è il tordo: mangio ancora de’ pesci, com’è fra i salsi l’orata, e simili, e fra i dolci il luccio, e simili… 
 
Vale la pena consultare anche l’opera del mantovano Teofilo Folengo (1496-1544), non solo per gli organici episodi presenti nel suo poema, ma anche per le infinite notazioni di costume rilevabili sia nell’ultima stesura del Baldus, sia tra i passi rifiutati delle redazioni precedenti e nelle glosse poste dallo stesso autore a margine del testo nella così detta edizione Toscolana.  Si invita alla lettura di alcuni brani: 
la descrizione del Parnaso maccheronico (I, 1-63);  
la cena rustica imbandita da Berto Panada (II, 174-332);  
il racconto della scorpacciata che si fanno i frati del convento della Mottella (VIII, 656-705);  
e per finire la tirata di Cingar contro le malefatte degli osti (XI, 543-647). Per l’opera si veda: 
Folengo T., Baldus, Torino 1989. 
 
Molteplici sono anche i riferimenti gastronomici nell’opera del Ruzante, data anche la sua amicizia con Cristoforo da Messisbugo. Nella sua Prima Oratione egli eleva un autentico “magnificat” — dice il Maffioli -  cantando le lodi del territorio padovano (ci sarà pur un motivo perché lo stesso Petrarca scegliesse di morire nel Pavan, si dice) che parte dal pane, passando per quel vin sgarbozo, che dise “bivime, bivime”, e biade e frutti, ma che dire per un territorio così prodigo che perfino le siepi e i pruni offrono a piene mani al pastorello e more, e bronbiuoli e sbrogiaculi e i fossi pure con le scardove, buone alle braci,  e le rane, che in agresto son cibo da Papa. Per non dire poi dei numerosi riferimenti a torte, raffioli, ruzzolai, cialdoni, schiacciate e focacce, alle “paparele” (paste in brodo), “papardele”, “zanzarele” (brodo con uova  sbatture), ai “baldoni” (fatti con sangue di maiale a forma di salsiccia) e ai lucci, tra i  pesci. 
Questo mito della terra dell’abbondanza ha una sua continuità nella percezione collettiva. Ne è testimonianza questo passo del Gennari (Gennari G., Informazione istorica della città di Padova, Bassano 1796, p. cxxxii) che fa anche riferimento a quell’episodio in cui Costantino Paleografo sis arebbe espresso con analogo tenore: 
E se oltre a tutto ciò che del nostro Territorio si è detto ... se si mettano insieme l'amenità de' suoi colli, la fertilità delle sue pianure, e la salubrità dell'aria, non sarà chi si meravigli di Costantino Paleologo, il quale alla mensa del cardinale S. Croce in Roma ebbe a dire, secondo che affermano Paolo Merula, e Celio Rodigino, che s'ei per lo testimonio di santi uomini non sapesse, che il Paradiso terrestre era situato in Levante, avrebbe creduto che fosse stato nel Padovano. 
E’ di notevole interesse, per tornare al Ruzante, e di ambientazione locale — sopra una delle nostre montagnette di Este — quell’immagine della caccia che protegge il podere dell’Allegrezza (con i bracchi che si disperdono tra i colli rincorrendo una lepre), protagonista di quel sogno con forti accensioni filosofiche che Ruzante svolge nella sua Lettera all’Alvarotto, uno degli ultimi lavori suoi, databile al 1537.  Perché, si dice, un’ora di vita di chi sa di esser vivo è più vita di chi vive tutta la sua vita senza saper d’esser vivo, cioè senza coglierne la pienezza, ed è come se non avesse mai avuto vita  in vita sua.  I personaggi  del Benarrivato, dell’Appetito e del  Sapore che apparecchiano un mangiare da abate e della Veglia che giunge con un gabbano pieno di rape che butta sul fuoco e porta nel grembo pomi e castagne per trascorrere una serata in allegra compagnia, sono tutte figure che allietano questo podere mitico — una sorta di Eden primordiale — dominato da Madonna Allegrezza, che è parona al vivere umano e che si può raggiungere cogliendo quel bon snaturale che è prima di ogni artificio delle consuetudini della cultura e del vivere civile. 
 
Nel Seicento spicca la testimonianza di Carlo Dottori con i suoi molteplici riferimenti alla caccia nel dominio avito degli Este tra il Cero e Calaon, al moscatello, ai fichi di Teolo ed alla galline di Polverara grandi come oche (Di più di dieci di Polverara, / che parean oche, e trentasei ricotte / cavate allora allor dalla caldara, / e sessanta bianchissime pagnotte, / ch'eran di pan buffetto, e nella chiara / e famosa Camatta eransi cotte; / quella Camatta, il cui mirabil forno / incanta chi gli va due volte intorno). 
Dottori C., L’Asino, Noventa Vicentina 1998. 
 
Dell’inizio del ‘600 segnaliamo un testo che non è opera letteraria ma che oggi per il nostro scopo potremmo rubricare come tale: si tratta della Descrittione di Padoa di Andrea Cittadella, oggi disponibile nell’edizione curata da don Guido Beltrame, recentemente scomparso: 
Cittadella A., Descrittione di Padoa e suo territorio con l'inventario Ecclesiastico brevemente fatta l'anno salutifero MDCV, Conselve 1993. Esso contiene molti riferimenti al cibo ed ai prodotti dei Colli a cominciare da Arquà che viene descritta come cantina, e frutteria Padoana per li buoni frutti, e feraci vini ha in collina, de moscatello, pinello, garganego, schiavo, margemino… (p. 130) e Boccon, similmente dovitioso de belli vignali, de boni pergolati d’uva… (p. 118),per non dire di Teolo che ha vigne et arboscelli in colli fruttiferi posti sopra grandi incavati nel terreno a guisa di Teatro (p. 116). Nel testo si fa riferimento anche alla festa di San Giovanni che si celebra sul Monte Venda per la quale grande è il concorso di popolo e, aggiunge, a quali poveri concorrenti vi si da pane, e fagioli cotti ( a similitudine forse dei gnochi [che] si danno a S. Zen in Verona la matina del venere grasso), p. 125.  
Abbiamo poi il Portenari - Portenari A., Della Felicità di Padova, Padova 1623 (rist. anast. 1973) - che conviene con Costantino Paleologo per dire che se non si sapesse dalla Scrittura che il Paradiso terrestre era altrove, si potrebbe pensare che nelli amenissimi colli Euganei avesse sede, poiché son monti ripieni di ogni grazia  che somministrano alla città olio delicatissimo, e producono uve, d’ogni sorte in tanta abbondanza, che non solamente bastano per Padova, ma ne vien portata grandissima quantità a Venezia, e in altri luoghi0 . E così Arquà è luogo cultissimo e abbondante di soavissimo vino e frequentato dai forestieri; Baone è pieno di olivi, alberi da frutto e viti; vigne ed uliveti sono anche sul Gemola; così il Monte delle Croci, Rovolon e Monte Ricco — così detto per la ricchezza di frutti ed uve che produce. Amenissimo è Teolo e Luvigliano è luogo da prencipe
 
Ancora riferimenti al cibo e agli Euganei troviamo in opere più recenti 
In una scena connotata di forte realismo, tratta da un racconto autobiografico di Aglaia Anassillide, troviamo una notazione legata al “vissuto” del cibo che merita una segnalazione: 
[Veronese A.], Versi di Aglaia Anassillide aggiuntevi le notizie della sua vita scritta da lei medesima, Padova 1826. Ecco la memoria di quel povero cibo offertogli dai monaci (p. 73): 
“… Giunsi stanca in cima al benedetto Rua, e fui tosto graziata da quei poveri anacoreti di alcune frutta secche avanzate ai tarli ed ai topi, e di una torta di erbe così amare che mi avvelenarono la bocca…” 
 
Pastò L., Poesie, Comune di Bagnoli 1982, con le molte liriche dedicate al vin friularo, alla polenta, al pane, al zabagion
Brevi passaggi sul cibo si possono trovare in fonti impensabili. Si veda ad esempio lo sbirciare tra i rami di Arrigo Bocchi in un sorta di Guida dei Colli del 1830 (Bocchi A., Alcuni giorni ai Colli Euganei, Venezia 1830, p. 69) che gli fa scorgere una scena dal sapore realistico: 
“…La vidi di soppiatto tra i dumi, e i cespugli del sentiere che dal colle di Lispida guida a quello di Reniero , e quinci al lago delle 5 fonti. ... All’ombra poscia d’un faggio s’assise, e tratte di tasca poche noci, e alcuni pani a ristorarsi si diede, mentre un picciol gregge pensolando per le verdi rive dei borri vicini pilucava le tenere erbette…” 
Oppure nel racconto di taglio realista del romanziere americano Howells (1837-1920) che fu console a Venezia dal 1860 al 1865: 
Howells W. D., Pellegrinaggio alla casa del Petrarca in Arquà, riportato in “Padova”, 3 (1957), n. 4/5, p. 3-13, con nota introduttiva e versione dall’originale di G. Vaccari: 
Il nostro pranzo era pronto quando ritornammo all’osteria e ci sedemmo di fronte ad un pollo arrostito nell’olio e ad un boccale di vino bianco di Arquà. Era un pasto modesto, ma l’olio mi piaceva e lo trovai saporito; il vino poi era forte e buono, anche se trovano da ridire sul prezzo del pollo quando il padrone  si curvò sul tavolo e ci fece il conto con un pezzo di gesso… (p. 12). 
Contengono riferimenti al cibo anche le numerose opere del’abate Barbieri che fu per molti anni a Torreglia. Gustosa questa sua immagine del vecchio parroco di Torreglia, uomo grosso e giovialone, soddisfatto dell’aria buona dei Colli che gli faceva digerire civaje, polenta e salsisocciotti, quando ce n’ho. (Il brano è in Barbier G., Il Monte e il piano, in Barbieri G., Veglie Tauriliane, Padova 1821, p. 79. Lo stesso autore nel poemetto I Colli Euganei offre ancora alcuni riferimenti alle chiomate vigne e gli arboscelli fruttiferi e ai lanuti armenti che fanno materni questi Colli ricchi di granose spiche, e di uve e d’olive balsamo, e di frutta, / Di zuccheerosi fichi, e d’auree pesche, / E di rosate mele… (p. 18-19). 
 
Nell’opuscolo: 
L’Arte del magnar e del bevare nel Veneto. Poesie dialettali, Abano Terme 1964 (19692), premio di Poesia promosso dal cenacolo l’Hostaria de l’Amicissia spiccano alcuni componimenti che celebrano specialità locali come: 
Polenta e oseii, Agno Berlese; 
La renga, Dino Durante jr 
La mejo sena del contadin veneto, Franco Stivanello, dove si fa riferimento al piatto: Salado coto sora la gradela, / Polena tenarina e brustolà, / Vin rosso e fresco dentro ‘na scodela / E de radicio alquante spironà… /