HomeIndice generale >  Una cucina euganeaTestimonianze e memorie
 
Non potevano mancare molti riferimenti alla cucina nei racconti di Gigi Vasoin — Luigi Vasoin De Prosperi — Accademico della cucina: 
Vasoin G., “a Padova … tanti ani fa”. Avvenimenti, storia, arte, cultura, sport, gastronomia, tradizioni, usanze e costumi nella Padova degli anni ’30 e ’40 in 62 racconti, Padova 1995. 
Vasoin G., “a Padova … tanti ani fa”. Avvenimenti, storia, arte, cultura, gastronomia, sport, tradizioni, usanze e costumi nella Padova degli anni ’30 e ’40 in 65 racconti. Parte seconda, Padova 2001. Molti sono i racconti imperniati sulla gastronomia dei Colli come Toreja, l’abate Barbieri e i “toresani”, La Vergine Speronèla e le faraone de Gastaldèlo, Teolo e i ultimi beccafighi, La cusina de casa, El mas-cio e la minestra de risi e verze, Galilei e “il gran bollito alla padovana”
 
Sono ricche di testimonianze sul cibo locale sono le opere di Roberto Valandro: 
Ferrari R. — Valandro R., Perduta terra, Parma 1975 dove si distingue il desinare della famiglia civile (lui era pur sempre il figlio del maestro): minestra, pietanza, contorno, talvolta perfino la frutta, ma sempre in minima dose contro il mangiare rustico (p. 35) che si imitava alla sola minestra con l’eventuale bicchiere di vino (siamo negli anni ’30). E della trattoria sulla strada di Arquà dall’odore di frittura casalinga: scardole e tinche con la polenta (p. 103). Della pesca nel Bisatto e altrove: pesca di tinche, di scardole, di lucci; con la rete, di notte, ma più con la lenza (p. 88) e dove si parla anche della pesca nei fossi visitati dai ragazzi. Essi sbarravano le acque con minuscoli argini trasversali di mota e di sassi. Quindi, riversata l'acqua di quei bacini dentro un fossatello a secco, affondavano le mani nel letto fangoso per sottrarvi il pesce rintanato. 
Nel medesimo libro si racconta anche delle sagre — come quella di San Martino con le brombe  in mano, o quella del Carmine quando ci si accontenta di un pevarino, una pasta piccante. E poi la festa di colori per gli àmoli, o le angurie quando ancora si faceva il tassello per controllare la freschezza e la bontà, o delle zucche che si arrampicavano ovunque, dai vivacissimi fiori gialli che l’ambulante invitava a comprare accompagnandosi al grido di suca barúca
I Bruscàndôi detti anche cime di luppolo, da cui la minestra locale di risi e bruscàndôi. Si coglievano lungo le siepi campestri evitando gli affini germogli di rovo. Passatempo concreto perché, giunti a casa, la mamma li cuoceva col burro: verdura saporitissima d’una usanza dimenticata (p. 89). 
Una memoria sull’olio troviamo nel brano intitolato El pestrin in Valandro R., Incontro con Arquà Petrarca, Conselve 1974, p. 44-47, dove si parla del bravo potatore Emilio Todaro — detto Milio Moreto — e della ganzega che si faceva per Natale dopo che alla raccolta di novembre avevano partecipato in aiuto i vicini e con i quali si festeggiava, appunto, con bigoli in salsa e baccalà, oppure renga, il tutto condito con l’olio di oliva novello. 
Ancora una testimonianza sull’uso antico di nutrirsi con i prodotti del sottobosco troviamo sempre in in Valandro R., Incontro con Arquà Petrarca, Conselve 1974, p. 47-50, dove si parla di una grande raccoglitrice di erbe e di funghi — quell’Anna Maria Ravarotto, Aneta Baioche di nominaja, nomignolo — grande esperta di capelete, famejole, galinele, finfani, deéle, sponsoi ma anche di bruscandoli, rampussoli e scrissioi. La stessa Aneta è anche tra le ultime depositarie dell’antica sapienza per curare con le erbe, come con la crementilia — una radichetta difficile da trovare — o con un decotto di belfiore — erba quasi scomparsa, dai fiorellini gialli. 
Di  Sapore di pane si parla in Valandro R., Per strade antiche, Este 1976, p. 72-75. 
Notazioni sul mangiare tipico dei contadini, sulla sapienzialità dei raccoglitori di erbe spontanee (p. 197), sono anche in: 
Valandro R., Un orizzonte di mediazioni. Colture e culture in Bassa Padovana, in Introduzione storica alla lettura della Carta catastale del “Retratto del Gorzon”. Itinerari e documenti per una storia della Bassa Padovana. Parte I, Stanghella 1986, p. 189-201. 
 
Notazioni sul cibo sono anche: 
Holzer F., Rovolon amore per una terra, Padova 1997, con i brani su L’oca in onto (p. 130-132), El dì del mas-cio (p. 143-146), La graspa fata in casa  (p. 149-151), El pan (p. 185-190), L’arte de fare el butiro e el formajo (p. 204-208), Le sarese (p. 220-221), sul coeghin de l’Assensa ai sofferma El dì de l’Assensa (p. 212-213). 
Scorzon E., Spigolature padovane. Prima serie, Abano Terme 1971, che contiene molte segnalazioni sul cibo (bruscandoli, fave dei morti, pissacani, pevarini, zaletti). 
Zanetti P.G., Terra di barcàri, in Acque in Saccisica e dintorni, Veggiano (PD) 2000, p.185 (alimentazione dei barcaioli); 
Battaglia Terme: un piccolo, grande paese, a cura di F. Marchioro, Battaglia Terme 2004, p. 32-38. 
 
Contiene un sorprendente saggio sulle preferenze alimentari del Petrarca e sulla sua predilezione per la naturalità del cibo e dei luoghi, con molti riferimenti al suo soggiorno euganeo e patavino: 
Camporesi P., Le vie del latte. Dalla Padania alla steppa, Milano Garzanti 2006, (Saggi), con riferimento al capitolo: Il padano Petrarca, p. 51-101.